Per la mentalità odierna di molti popoli e culture non è facile accettare qualcosa solo per sentito dire o se non è direttamente sperimentato, proprio perché siamo sempre alla ricerca di prove tangibili, dimostrazioni, che ci permettano di credere dopo aver toccato con mano.
La nostra coscienza è strettamente correlata ai 5 sensi: vista, olfatto, udito, gusto e tatto, localizzati in specifiche zone della corteccia cerebrale, secondo la fisiologia.
Ogni percezione che coinvolga uno o più di uno dei 5 sensi si traduce nella consapevolezza di ciò con cui si è entrati in contatto, che diventa pertanto reale, esistente. Siamo sicuri di ciò che vediamo, udiamo, assaporiamo e tocchiamo con mano. Ma si può essere davvero certi che l’unico modo di conoscere sia quello che deriva dai meccanismi fisiologici e dalla razionalità basata su ciò che è sensibilmente e fisicamente percepibile?
Probabilmente se si escludessero a priori altre vie di conoscenza, si limiterebbe di molto l’apertura a nuovi scenari e a nuove concezioni, e anche all’evoluzione dell’umanità che, effettivamente, traccia nel tempo una linea in cui avanza sempre di più ed in cui si possono spesso notare grandi cambiamenti ed innovazioni in tempi a volte relativamente brevi.
Ecco che, di epoca in epoca, spiccano personaggi singolari capaci di slanciarsi oltre il comunemente noto, attraverso sensi speciali, non fisici ma metafisici, e soprattutto grazie ad una mente sempre aperta ad accogliere nuove rivelazioni, ad intuire oltre i confini della razionalità.
Tra i più grandi inventori nella storia non manca la categoria degli scienziati, fautori di scoperte sensazionali e significative.
Questi personaggi ci inducono quasi a pensare che la scienza per come la si intende ordinariamente non sia quella vera, o perlomeno che essa non sia percepita nella sua globalità.
Alcuni di loro ammettono la coesistenza di scienza e idea di Dio senza trovarvi contraddizione, piuttosto una necessaria e reciproca cooperazione che dia all’uomo risposte cercate con fatica e invano per altre vie.
Di queste vedute è, ad esempio, Max Plank, il quale disse: “In qualunque direzione e per quanto lontano noi possiamo vedere, non troviamo da nessuna parte una contraddizione tra religione e scienza, ma piuttosto un pieno accordo proprio nei punti più decisivi. Religione e scienza non si escludono come alcuni oggi credono o temono, ma si completano e si condizionano a vicenda. E la prova più immediata per la compatibilità di religione e scienza, anche per una considerazione critica radicale, è rappresentata dal fatto storico che proprio i più grandi scienziati di tutti i tempi, uomini come Keplero, Newton, Leibniz, erano penetrati da profonda religiosità” (1-2-3).
Indubbiamente una mente geniale, capace di avanzare con audacia e di sorpassare realtà esistenti e consolidate, e che in queste parole denota un’apertura mentale anche verso il soprannaturale, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un fisico.
Il premio Nobel per la Fisica continua ad essere ricordato soprattutto per l’attualità delle sue scoperte che manifestano ancora oggi indubbia validità.
Il ricercatore vero dovrebbe avere questo tipo di approccio: è chiamato ad essere sempre curioso, pronto alla novità, a non rifiutare nulla di ciò a cui perviene attraverso la sperimentazione, osservando con mente libera da preconcetti, a porsi sempre nuove domande e ad ammettere risposte sorprendenti e apparentemente inconcepibili.
Questo tipo di ricerca viene proposta anche dall’Archeosofia, o “Scienza dei Principi”, e da Tommaso Palamidessi, suo fondatore, non solo teoricamente attraverso quanto si può apprendere della dottrina, ma soprattutto praticamente con tecniche di sperimentazione attraverso cui ognuno, se vuole, può conoscere se stesso con occhi speciali, capaci di osservare e sondare l’invisibile che si cela dentro e fuori l’uomo.
La mente umana è infatti dotata di facoltà straordinarie. In alcuni individui queste sono più spiccate ed evidenti, proprio come nei grandi scienziati ed inventori di ogni tempo. In tutti gli altri casi queste facoltà restano latenti ma non sono inesistenti; al contrario, possono essere riscoperte, potenziate e sviluppate a volontà.
1.LA SPIRITUALITA’ DEI NUMERI SACRI, Tommaso Palamidessi, Archeosofica, pag.2.
2.SCIENZA, FILOSOFIA E RELIGIONE, Max Planck, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965, pag.255-256.
3.RELIGIONSWISSENSCHAFT UND NATURWISSENSCHAFT (RELIGIONE E SCIENZE NATURALI), Max Planck, 1937.
Il ciclo “Visioni e Profezie” sta per ripartire! Da venedì 22 settembre alle ore 21.30 vi aspettiamo nella meravigliosa città di Siena presso la Sezione di Siena dell’Ass.ne Archeosofica in via Ricasoli, 24, con la prima conferenza dal titolo “Conoscere il futuro” che andrà ad aprire il Ciclo. La stessa conferenza verrà presentata sabato 23 settembre alle ore 17.30 presso la bellissima cittadina di Pontassieve in provincia di Firenze presso la Sezione di Pontassieve dell’Ass.ne Archeosofica. “Visioni e Profezie” rappresenta un appuntamento stimolante per tutti coloro che sono interessati al mondo delle profezie, della visione del futuro, della loro interpretazione e comprensione e desiderano approfondire queste interessanti tematiche. Vi rammentiamo che potete partecipare anche in streaming da casa usando un computer, un tablet, un cellulare, grazie alla piattaforma gratuita Lume: i partecipanti potranno connettersi in tempo reale e seguire da remoto. 𝓟𝓮𝓻 𝓾𝓵𝓽𝓮𝓻𝓲𝓸𝓻𝓲 𝓲𝓷𝓯𝓸𝓻𝓶𝓪𝔃𝓲𝓸𝓷𝓲 potete visitare la pagina del Tour, oppure potete sempre scriverci. 𝓥𝓲 𝓪𝓼𝓹𝓮𝓽𝓽𝓲𝓪𝓶𝓸!
La necessità e la ricerca di conoscere e nello stesso tempo di comunicare sono insite nella natura dell’individuo non si oppongono ad essa.
La capacità di narrare che possa essere attraverso il mito, le favole, il cantoo la poesia, è la dimensione fondamentale e insopprimibile del pensiero umano attraverso l’uso di parole, immagini e ricordi.
Scientificamente, la parte del cervello che ha caratterizzato la crescente evoluzione degli esseri umani pare sia proprio il lobo frontale e le aree corticali, le aree appunto dedicate allinguaggio, all’immaginazione e alla visualizzazione.
Tommaso Palamidessi nei suoi testi cita l’importanza delle facoltà dell’intelletto quali appunto la volontà, l’attenzione, l’immaginazione, la visualizzazione e la memoria che ci permettono di svuotare la mente da tutto ciò che può distogliere la nostra concentrazione su un preciso obiettivo tanto da prolungare questo stato fino alla meditazione e anche oltre, realizzando la contemplazione.
E’ l’arte di conoscere noi stessi nella nostra interiorità, la Natura e il Cosmo con le sue dimensioni in cui siamo immersi.
Facoltà che nell’uomo e nella donna si trovano in uno stato latente ma con opportuni, costanti e mirati esercizi possono essere attivate e potenziate.
Lo spirito umano, la parte più eccelsa dell’individuo ha in sé la facoltà contemplativa e una immaginazione, spontanea o provocata, evocatrice e invocatrice definita per queste due qualità: immaginazione creativa.
Immaginazione e visualizzazione si basano sulle leggi universali della suggestione che hanno il potere di tenere viva e desta la meta e lo scopo che ci siamo prefissati. Sottolinea Palamidessi:
“L’immaginazione creatrice, quando è diretta dal fuoco della volontà animata da una precisa intenzione, è potente quanto una fiamma ossidrica, e dissocia, unifica, trasmuta” (5).
Può capitare di confondere il termine immaginazione con fantasia, di utilizzarli in modo univoco e/o considerarli sinonimi. Eppure già dalla loro etimologia si possono notare differenze.
Fantasia si ricollega al latino phantasia, dal greco φαντασία (phantasia) traducibile con apparizione, manifestazione.
Immaginazione, da imago cioè immagine.
Fantasia rimane più un concetto effimero e astratto con una assonanza al termine fantasma; immaginazione è la rappresentazione sensoriale della realtà percepita. Racchiude il senso della frase: “in me mago agere”!
Immaginazione è l’insieme di due vocaboli latini: imus, cioè fondo, basso, traducibile con profondità e agere, cioè agire quindi un lavoro che è interiore e che smuove.
Possiamo quindi considerare l’immaginazione come il mezzo per rendere visibile ciò che la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano?
Bibliografiaessenziale:
1.Dizionario della lingua italiana – Treccani.
2.Dizionario etimologico della lingua italiana – Zanichelli
Dalla Collana della Scuola Archeosofica:
3.RISVEGLIO E SVILUPPO DEI CENTRI DI FORZA – Quaderno n.15, Tommaso Palamidessi, Archeosofica
4.L’ASCESI ARTISTICA, I COLORI E LA PITTURA – Quaderno n. 27, Tommaso Palamidessi, Archeosofica
Oggi è in corso un dibattito specialistico all’interno della comunità geologica internazionale sull’opportunità di introdurre una nuova epoca geologica e se debba essere denominata «Antropocene».
L’ufficialità manca ancora. Il concetto di Antropocene è stato reso celebre nel 2000 da un articolo firmato dal biologo Eugene Stoermer (che aveva già usato questo termine nel corso degli anni ’80) e dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen1. Quest’ultimo ha ulteriormente approfondito il concetto due anni dopo, in un articolo comparso sulla rivista «Nature» dal titolo Geology of mankind–The Anthropocene. Il titolo del saggio, tradotto con Geologia dell’umanità – l’Antropocene, esprime efficacemente l’idea di fondo dell’autore: negli ultimi secoli, gli uomini sono diventati il principale agente geologico in grado di rimodellare la Terra, modificandone i sistemi fondamentali ed esercitando un enorme impatto su tutto l’ecosistema terrestre.
L’evoluzione della Terra solida, dell’atmosfera, dell’idrosfera e della biosfera, si possono ricostruire attraverso lo studio della stratigrafia delle rocce, del loro contenuto fossilifero e delle loro caratteristiche geochimiche.
Le rocce, infatti, sono un grande archivio pietrificato che ci mette nella condizione di viaggiare attraverso il tempo geologico.
Dal punto di vista tecnico, per definire un’era geologica, è necessario che esista un segno chiaro a livello stratigrafico che ne identifichi l’inizio; nel caso specifico dell’Antropocene, questo segno dovrebbe essere chiaramente riconducibile alla presenza e all’attività dell’uomo.
Da anni geologi, esperti in stratigrafia, scienziati e climatologi discutono su quale sia la data di inizio dell’Antropocene e, di conseguenza, di fine dell’Olocene, cioè l’epoca geologica attuale, il cui inizio è stato convenzionalmente fissato a circa 11.000 anni fa.
La proposta attualmente più condivisa è quella di datare l’inizio dell’Antropocene a metà del XX secolo contestualmente alle esplosioni nucleari iniziate con i test del 1945.
Alle 5.29 del 16 luglio del 1945, nel Nuovo Messico (USA), nel bel mezzo del deserto di Jornada del Muerto, venne fatta esplodere la prima bomba al plutonio il cui nome in codice era The Gadget.
Fu il primo test nucleare della storia. Da quella detonazione ad oggi sono stati fatti esplodere, ufficialmente, 2421 ordigni nucleari che hanno liberato una serie di isotopi non esistenti in natura. Tali isotopi, principalmente carbonio-14 e plutonio-239, insieme ad acciaio, calcestruzzo, plastica ed altri derivati delle attività umane, faranno parte delle stratigrafie future del pianeta che, per la prima volta nella sua storia, avrà una geologia sintetica.
George Perkins Marsh
Il primo ad osservare come l’uomo potesse non solo modificare la geografia fisica, ma mettere a repentaglio la propria stessa sopravvivenza sul pianeta fu, probabilmente, George Perkins Marsh, politico ed ambasciatore statunitense dell’800, considerato da molti un precursore dell’ecologia.
I suoi scritti contengono interessanti e moderni spunti sui problemi dell’ambiente e dell’uso delle risorse, tanto che oggi la sua opera sta riscuotendo un nuovo e vivo interesse. Pur non essendo geografo di professione, pubblicò un’opera geografica di grandissimo interesse, scritta in gran parte in Italia, dove si stabilì dal 1861 fino alla morte, dal titolo L’uomo e la natura ossia la superficie terrestre modificata per opera dell’uomo (1864), in cui evidenziava la necessità della conservazione della natura e l’importanza del «ristabilimento delle armonie perturbate».
Ma, al di là dell’impatto su rocce e sedimenti terrestri, sussiste una riflessione più ampia riguardante le relazioni dell’essere umano con il suo ambiente.
Antonio Stoppani
Le radici storiche del concetto di Antropocene risalgono ad Antonio Stoppani, geologo e sacerdote nato a Lecco nel 1824, che definì l’umanità come una «nuova forza tellurica che in potenza ed universalità può essere paragonata alle maggiori forze della terra» e, quindi, comparabile alle altre forze geologiche. Stoppani propose, già nel 1873, all’interno della sua opera in tre volumi Corso di Geologia, il concetto di «epoca antropozoica» precorrendo il vocabolo Antropocene di uso attuale.
L’attività scientifica dello Stoppani non si limitò solo all’ambito accademico, egli infatti profuse sempre il massimo impegno anche nella divulgazione. Da molti è ritenuto il primo divulgatore scientifico italiano. Ci basti ricordare la sua principale opera dedicata all’educazione scientifica, in particolare, dei giovani: Il Bel Paese – Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia. Tutte le conversazioni de Il Bel Paese sono intervallate da riflessioni come la seguente: «Ma la scienza non si contenta di dire: “Dio ha fatto, ha voluto così”; vuole anche sapere come ha fatto, ed anche, se può, perché ha voluto così. E Dio non vieta questa nobile curiosità che è tutta consentanea a quel lume di ragione che Dio stesso ha dato all’uomo, perché fosse l’immagine sua. Anzi Dio gli ha forniti i mezzi perché possa soddisfarla; né la scienza consiste in altro che in una più perfetta cognizione del Creatore e delle sue opere. Scienza e virtù quasi divinizzano l’uomo: ignoranza e vizio l’abbrutiscono».Il dibattito riguardo l’influenza dell’uomo sul pianeta, riscosse un certo interesse anche nella Russia di inizio Novecento, dove si respirava un clima predisposto a discutere l’idea degli esseri umani come protagonisti, nel bene e nel male, di un’evoluzione attiva dipendente dalle loro decisioni. Pioniere di questa riflessione fu il grande geologo russo Vladimir Ivanovič Vernadskij nato a Pietroburgo nel 1863 che divenne celebre in seguito alla pubblicazione, nel 1926, del libro La Biosfera in cui rese popolare il termine biosfera precedentemente concepito dal geologo austriaco Eduard Suess nel 1885.
Cratere lunare dedicato al geologo russo V.I. Vernadskij
Oggi per biosfera si intende quella parte della Terra nella quale si riscontrano le condizioni indispensabili alla vita animale e vegetale. Comprende la parte bassa dell’atmosfera, tutta l’idrosfera e la parte superficiale della litosfera, fino a 2 km di profondità. Insieme alle forme di vita che ospita, costituisce un sistema complesso, in equilibrio dinamico con le altre componenti della Terra e definito anche “ecosistema globale”.
Nella prefazione alla sua opera del 1926, Vernadskij osservò che in tutta la letteratura geologica precedente mancava un saggio organico sulla biosfera, anzi, la sua stessa esistenza non veniva presa in considerazione. Egli, invece, la definì come un involucro particolare, impregnato di vita e posto a frontiera con l’ambiente cosmico da cui trae l’energia delle radiazioni solari che, fin dall’eternità, rovesciano un potente flusso di forze in grado di modificare profondamente il volto della Terra. La funzione fondamentale della materia vivente consiste, secondo Vernadskij, nel trasformare l’energia irradiata dal sole (radiazione elettromagnetica) in energia fisica e chimica che poi passa da un organismo all’altro grazie ai cicli vitali.
Vernadskij, infatti, va ricordato, soprattutto, per aver elaborato in forma compiuta la grande visione unitaria della vita sul pianeta. Una vita che si basa sulla circolazione degli elementi dall’atmosfera alle piante, agli animali, al suolo, e poi di nuovo all’atmosfera e alle acque; di questi cicli vitali fanno parte anche gli esseri umani.
Era il 1923 quando venne invitato alla Sorbona di Parigi dove tenne una conferenza sull’evoluzione dell’inviluppo geologico della sfera terrestre; considerando la vita come un fenomeno anche geologico, il mineralogista russo divenne il fondatore di una nuova disciplina, la biogeochimica, che si proponeva di studiare la vita con un approccio interdisciplinare basato su biologia, geologia e chimica.
Nella Parigi degli anni Venti la sua riflessione si arricchì di ulteriori declinazioni grazie ai contatti con altri scienziati dell’epoca, tra cui il geologo e padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, il filosofo Henri Bergson, docente di Filosofia Moderna al Collège de France ed il suo allievo Edouard Le Roy. Proprio quest’ultimo, nella sua opera L’Exigence idéaliste et le fait de l’évolution (1927), utilizzò per la prima volta per iscritto il neologismo noosfera definendola: «sfera della riflessione, dell’invenzione consapevole e libera, del pensiero propriamente detto, in breve, la sfera dello spirito».
Anche Vernadskij, nelle sue ultime opere, teorizzò la distinzione del pianeta in tre sfere, rappresentate rispettivamente dalla geosfera (sfera abiotica), dalla biosfera (sfera dei viventi) e dalla noosfera (sfera dei processi cognitivi umani). Con l’avvento della noosfera, alla mente dell’uomo si aprirebbero orizzonti tali da metterlo nelle condizioni di affrontare i più ardui problemi di trasformazione della natura e di conquista del cosmo, grazie allo sviluppo della scienza e della tecnologia. Vernadskij considerò l’apparizione degli strumenti tecnologici, inventati e usati dall’uomo, equivalente alla comparsa di nuovi organi e perciò sulla linea delle trasformazioni biologiche che avvengono per effetto della naturale evoluzione della specie.
«Con l’umanità è comparsa indubbiamente una nuova ed enorme forza geochimica sulla superficie del nostro pianeta. L’equilibrio nella migrazione degli elementi, che si era stabilito in lunghi tempi geologici, è infranto dall’intelletto e dall’attività degli uomini. Adesso, con tale indirizzo, ci troviamo in un periodo di mutamento delle condizioni di equilibrio termodinamico all’interno della biosfera».
V.I. Vernadskij, La géochimie, Parigi 1924
Il profilo dell’essere umano che sembra emergere dalle riflessioni di questi pensatori di inizio ‘900 è quello di un moderno artefice del proprio destino capace di costruirsi non solo la propria sorte, ma anche il proprio “paradiso in terra” grazie ad un’alleanza sempre più stretta con la tecnologia.
Difficile non intravedere in questo “humus” le radici del moderno transumanesimo (o transumanismo), un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post-umana2.
Ma cosa si intende oggi per postumanesimo e transumanesimo? Questi neologismi indicano, rispettivamente, il risultato auspicato ed il percorso di transizione necessario al suo conseguimento. In altri termini, il transumano è l’uomo in transito verso la condizione postumana che sarebbe, per l’appunto, l’esito dell’evoluzione della specie resa possibile dall’alleanza tra una conoscenza scientifica sempre più capace di penetrare i misteri della natura ed un’abilità tecnico-manipolativa sempre più sofisticata.
Il postumano è quindi il risultato finale di un processo di auto-trasformazione che porterà l’umanità a prendere congedo da tutti quegli aspetti di vulnerabilità e di finitudine che oggi ci sono così familiari. Un’umanità infinitamente più intelligente, più longeva, più ricca, dotata di capacità sensoriali estese e di una fisicità potenziata. Spesso, per riferirsi a tale rivoluzione tecnologica, si parla di GNR revolution, ovvero dell’incontro tra Genetica, Nanotecnologia e Robotica. Un’umanità irriconoscibile e oggi inimmaginabile; per questo espressione di una condizione che sta oltre l’umano.
Alla luce del pensiero transumanista l’umanità di oggi sta progredendo verso un dominio sempre maggiore del mondo: il pensiero, la scienza e la tecnica la guidano a questa conquista della Natura. Ma può, un dominio della Natura in ottica tecnocratica essere lo scopo delle nostre esistenze? A guardarla bene sembra una corsa senza fine, senza altra meta che non sia quella di spostare la frontiera della morte un po’ più in là, anche a costo di perdere tutto ciò che intimamente caratterizza il nostro essere umani. Ma allora quale potrebbe essere la vera evoluzione?
Forse l’autentica sfida con sé stessi, quella dell’umanità di ieri, di oggi e di domani, non consiste tanto nel chiedersi come andare oltre i propri limiti, realizzando il sogno di “umanità iper-umana”, ma piuttosto come far rifiorire quel “germe” che, pur celandosi, rende davvero umane le nostre esistenze.
Dante Alighieri
Il Sommo Poeta nel I canto del Paradiso allude ad un genere di cambiamento diverso dall’ideale transumanista, sebbene utilizzi un termine analogo.«Trasumanar significar per verba non si poria» dice Dante nel Paradiso (I, 70-71).
In questa terzina il Poeta ammette che non si può descrivere con parole l’anelito ad oltrepassare la condizione umana per realizzare il desiderio di essere tutt’uno con la realtà divina. Sappiamo che l’intera Commedia è la descrizione di una trasmutazione interiore che consentirà a Dante, con l’aiuto imprescindibile di Beatrice, la donna angelicata, di realizzare il supremo compimento. Transumanar vuol dire dunque, per Dante, riportare la natura umana alla sua fonte creatrice depurandola di ciò che in essa è caduco e provvisorio.
Per il transumanesimo, invece, l’umanità, in totale autonomia, si assume il compito di guidare il suo stesso processo evolutivo, non attraverso una progressiva presa di coscienza degli «stati molteplici dell’essere»3, bensì esclusivamente attraverso l’avanzamento tecnologico.
Luca Grion, professore associato di filosofia morale presso l’Università degli Studi di Udine, cerca di rispondere agli interrogativi sul moderno stradominio della tecnologia da molti definito tecnocrazia:
«l’uso distorto della tecnica […] consiste nell’incapacità di accettarsi per ciò che si è, nel non riconoscere nei propri limiti costitutivi il confine del proprio essere, aspirando a divenire ciò che non si è destinati ad essere. […] la tecnologia, se saggiamente maneggiata, può essere un prezioso collante, che favorisce la tenuta delle relazioni significative; laddove, invece, la tecnica viene assolutizzata, essa diviene un pericoloso solvente, capace di indebolire la forza delle relazioni significative e di chiudere l’individuo in uno pericoloso narcisismo».
Restando nell’ambito di questo “sogno”, apparentemente positivo, dell’homo faber, che si costruisce da sé il proprio destino, può essere interessante tornare nella Russia di inizio ‘900, alle riflessioni di Pavel Aleksandrovič Florenskij, nato nell’odierno Azerbaigian nel 1882.
Secondo lo scienziato e sacerdote ortodosso, quando l’essere umano inizia a percepire i propri rapporti con il mondo come qualcosa di casuale e non come un dono, ecco che mette radici e si sviluppa una vera e propria “civiltà predatoria”. In nome del desiderio di autonomia e di supremazia l’individuo è spinto ad estromettere il Divino dal Mondo fino a sostenere che non c’è più posto per Dio.
Pavel Aleksandrovič Florenskij
Pur restando viva l’idea di un’evoluzione attiva e consapevole dell’umanità, tesa al raggiungimento della pienezza del suo essere, perché ciò si realizzi secondo Florenskij è necessario restaurare una concezione cristiana del mondo: «solo nel cristianesimo il creato acquistò il suo valore religioso, solo con il cristianesimo è stato individuato il posto che spetta al “senso della natura”, all’amore per l’uomo e alla scienza naturale che ne deriva»4
Secondo questo genio enciclopedico del XX secolo, il primo passo consiste, anzitutto, nel recuperare uno sguardo capace di cogliere l’universale nel particolare. Ciò accade quando si è animati da quello spirito d’infanzia caratteristico di chi contempla senza brama di possesso. La visione del mondo scientifico-tecnologica, infatti, sembra rivolgersi allo spazio e alla materia con frenesia, per possederli o dominarli, senza soffermarsi a cogliere l’infinita trama dei significati.
Ogni atteggiamento scientifico verso la realtà dovrebbe originare dalla percezione del mistero della natura e dall’interrogazione che questo suscita interiormente. Di questo Florenskij resta fermamente convinto fino agli ultimi anni di vita, quando scrive alla moglie dal lager delle Solovki: «Colgo l’occasione per dire a te e ai bambini che tutte le idee scientifiche che mi stanno a cuore, scaturiscono dal mio sentimento per il mistero […]. Tutto ciò che mi viene suggerito da questo, rimane vivo nel mio pensiero e diventa, prima o poi, oggetto di uno sforzo scientifico»5.
In un’altra lettera dal lager, scritta al figlio Kirill il 21 febbraio del 1937, abbozzando un bilancio della sua esistenza, ormai prossima alla tragica fine, afferma: «Volevo scriverti dei miei lavori, o più precisamente, del loro senso, della loro sostanza interiore, affinché tu potessi continuare a portare avanti quel pensiero che a me la sorte non permette più di elaborare e di condurre al suo fine […].
Sofia Vladimir Solov’ëv
Che cosa ho fatto per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà compatta, ma ad ogni tappa della mia vita da un determinato punto di vista […].
Le sue angolature mutano, l’una arricchendo l’altra; è qui la ragione della continua dialettica del pensiero assieme al costante orientamento di guardare il mondo come un unico insieme»6.
All’unità interiore e misteriosa che costituisce il mondo, Florenskij dà un nome: Sofia, la Sapienza di Dio, un’immagine tratta dalle Sacre Scritture e riproposta nella cultura russa da VladimirSolov’ëv, uno dei pensatori che lo avevano maggiormente segnato. Difficilmente definibile, la Sofia è il mistero che dà unità al mondo e unisce il mondo divino e quello umano. Se la finitezza dell’uomo trova compimento soltanto nell’infinito di Dio, dev’esserci qualcosa che unisce il mondo divino e quello umano; e, allo stesso modo, ci deve essere qualcosa che unisce tutto il creato.
Tommaso Palamidessi
Tommaso Palamidessi, studioso del ‘900 nato a Pisa nel 1916 e fondatore della scuola Archeosofica nel 1968, è stato uno dei più grandi pionieri del secolo scorso. Egli ha condotto ricerche in tutti i settori della scienza e della metafisica, elaborando un paradigma dell’individuo e dell’universo che non tralascia nulla, anzi, concilia le intuizioni degli antichi con le evidenze della scienza moderna.
Nella sua opera intitolata Le Basi della Teologia Sofianica, pubblicata postuma nel 1986, a proposito della Sofia scrive trattarsi di un «archetipo dell’anima del mondo» nel senso di modello primo a cui l’anima del mondo, per ora, ancora non è somigliante.
Il concetto di Anima Mundi, nel senso inteso dall’Archeosofia, fu un’intuizione del teosofo Rosa-Croce Gerolamo Cardano (1501-1576), lasciata nella sua opera Theoston seu de animi immortalitate (in Opera, II, Lione, 1663, p. 439). Il Cardano sostenne il panpsichismo dell’Universo e distinse tre principii: lo spazio, la materia e l’anima del mondo. Per il filosofo lombardo, l’Anima del Mondo è nella natura la stessa cosa che è l’anima particolare dell’uomo, cioè intelligenza; potenzialmente le anime particolari sono contenute nell’anima universale, come i numeri nella decade, e analogamente tutte le cose sono vivificate, sorrette, organizzate dal principio psichico universale7.
Gerolamo Cardano
«La Sofia è l’archetipo al quale deve aderire, nel tempo, l’attuale “Anima del Mondo”, anarchica e caotica in via di evoluzione, che ospita le anime di tutti i viventi incarnati e disincarnati alla ricerca di Dio.
In altri termini la Sofìa è l’anima ideale del mondo, creata e compenetrata dalla divinità, in attesa che l’altra anima del mondo, quella decaduta in conseguenza all’errore e involuzione adamica, si innalzi alla suprema perfezione e si identifichi in certo qual modo con Lei. Voglio dire che l’Anima del Mondo, oggi, non è combaciante, come due triangoli uguali ma distinti, con l’archetipo sofianico che, secondo le Scritture, è la massima espressione della Sapienza di Dio fatta creatura metafisica; ma lo sarà quando avrà raggiunto la perfezione assoluta in Cristo e quindi in Sofìa8».
«Durante la sua vita, l’uomo è un trasformatore di energia: non fa che assorbire l’energia universale per trasformarla in bene o in male; e, come con un atto fisiologico (respirare, bere) sottrae all’universo una forza che modifica l’equilibrio di tutte le altre forze del nostro cosmo fisico, così ogni suo pensiero e sentimento muta la sua relazione rispetto all’universo, e la relazione dell’universo rispetto a sé. Questa forza, appartiene o al mondo fisico del movimento, o a quello psichico, o a quello spirituale. Noi adoperiamo questi tre tipi di forza, rispettivamente, nelle attività organiche e fisiologiche, nelle sensazioni del nostro sistema emozionale, e nei pensieri astratti o concreti del nostro sistema mentale. Ora, tutta la forza che adoperiamo, la forza di tutti i piani, è l’energia dell’Assoluto. Noi siamo i trasformatori di questa energia. Il desiderio di Dio è che, trasformando ed usando questa energia, noi l’adoperiamo non per ostacolare, ma per promuovere il Suo piano di Evoluzione. Aiutare questo piano significa fare il “bene”, come ostacolarlo significa fare il “male”. Inoltre, non essendo l’uomo un individuo isolato, ma un’unità in una umanità composta di miliardi di elementi, ogni suo pensiero, sentimento o atto reagisce su tutti i suoi simili, naturalmente, in proporzione alla vicinanza di ognuno a lui, quale distributore di forza negativa o positiva, buona o cattiva. Ciascuno di noi, entrando in questa vita, viene da un lungo passato che conta molte vite, e assumendo di nuovo un altro compito sulla terra, reca con sé il fardello di ciò che fece di buono o di cattivo. La sua nascita sarà realizzabile sotto una sintesi di influenze siderali in grado di creargli l’ambiente e la costituzione fisica proporzionali al destino da scontare. Però, malgrado tutte le forze della natura lo costringano a realizzare a proprie spese l’equilibrio, egli possiede lo Spirito Divino che vive in lui, e basta uno sforzo che possa cooperare con la volontà Divina nell’evoluzione, non ostacolandola e guadagnandosi così un destino migliore. La Grande Legge che regola il creato adopera la forza accumulata dall’individuo stesso, e nulla può aggiungervi o togliervi. L’individuo proviene da un passato, ha legami di destino con altri individui, con una famiglia, un popolo; deve essere mandato ad incarnarsi dove gli sarà possibile scontare tutto il suo svariato carico, dovrà nascere sotto un cielo stellato le cui influenze siderali saranno conformi alla pena da espiare. Tuttavia, la sua incarnazione è solo una vita della grande serie di vite, e al termine di questa lunga, difficile e dolorosa strada, egli sarà un Maestro di Sapienza, un Archetipo9».
Arte regale e sacerdotale di una civiltà remota, trasmessa oralmente a vari popoli, la Geomanziaè uno dei metodi divinatori più antichi, utilizzato anche dall’indovino per collegare il mondo visibile a quello invisibile, l’umano con il sovrumano.
La sua origine è misteriosa, sembra sia nata in Persia, ma venne praticata in tutto il bacino del Mediterraneo, in India, in Estremo Oriente, in Europa, nel Madagascar… ha una storia antica di millenni.
Geomanzia significa “divinazione per mezzo della terra”; nel mondo arabo era chiamata “la scienza della sabbia” perché tracciavano il tema geomantico proprio sulla sabbia.
Nel Madagascar l’indovino prima di cominciare le operazioni necessarie per il pronostico, recitava una preghiera, di cui riporto un estratto perché è abbastanza lunga e particolare. Comincia così:
“Svegliati, Dio, per svegliare il Sole! Svegliati, o Sole, per svegliare il gallo! Svegliati, o gallo, per svegliare l’uomo! Svegliati, o uomo, per svegliare il sikidi! Non perché egli dica delle menzogne, non perché egli induca in errore … ma perché egli scruti i segreti … perché egli veda quello che l’occhio umano non può vedere…”.
Il Mpi-sikidy
Il Mpi-sikidy, ovvero l’indovino nella tradizione del Madagascar, seduto su una stuoia nell’angolo nord-est della casa, poneva di fronte a sé una pietra sacra, entrava in contatto con gli antenati e gettando dei semi sulla stuoia ne interpretava le figure secondo il modello geomantico.
La Geomanzia ha per base delle figure geometriche ricavate tracciando dei punti o delle linee sulla terra, sulla sabbia, oppure su un foglio di carta, o ancora lanciando dei granelli, dei semi o piccole pietre. La prima operazione si chiama infatti “getto dei punti”. Come si fa oggi? Si prende un foglio di carta bianca e una matita abbastanza grossa; nella parte alta del foglio si scrive la domanda o il problema da risolvere; si tracciano poi in modo automatico dei trattini verticali, concentrandosi sulla domanda, facendo 4×4=16 righe di trattini. Si conterà poi il numero dei trattini di ogni riga: quando è pari si segnano due punti, quando è dispari un solo punto. Alla fine, si ottengono le figure geomantiche da interpretare.
La Geomanzia ha per base delle figure geometriche
Le figure geomantiche sono simboli numerici disposti in una forma convenzionale; hanno corrispondenze astrologiche ed elementari, nomi specifici e significati tradizionali. Ci sono buoni testi da consultare per diventare esperti in questa mantica, come “Introduzione allo studio della geomanzia” di Leo Kaiti, oppure “La Geomanzia” di Gwen Le Scouézec.
“E’ una fredda notte di primavera senza luna, quando la chiglia di una grande nave passeggeri solca le acque dell’Atlantico. Naviga così velocemente, in sprezzo di ogni cautela, che sta per battere ogni record di traversata. Tecnologicamente è all’avanguardia, tanto che i costruttori la ritengono inaffondabile. All’improvviso la sagoma di un grosso iceberg emerge nell’oscurità. Troppo tardi per correggere la rotta; l’impatto è inevitabile.”
Futility or the Wreck of the Titan
Non è un articolo di testata giornalistica relativamente a quanto accaduto al famosissimo transatlantico Titanic ma alcuni passi tratti dal racconto drammatico descritto nel libro “Futility or The Wreck of the Titan” (nella prima edizione del 1898 solo “Futility”), scritto da Morgan Robertson e tradotto nell’edizione italiana con il titolo “Il Naufragio del Titan”. Tantissime sono le corrispondenze e analogie di questo romanzo scritto 14 anni prima della tragedia del Titanic.
Le coincidenze tra realtà e immaginazione sono davvero incredibili tanto che è normale interrogarsi se questo romanzo sia davvero una profezia oppure l’accurata e minuziosa analisi di un evento che con quelle caratteristiche sarebbe potuto statisticamente accadere. Ancora oggi questo scritto continua a suscitare curiosità e interrogativi alimentando questa aura di mistero.
Morgan Robertson
Chi è Morgan Robertson? E’ uno scrittore e “inventore” statunitense. Inventore perché lui sosteneva di aver progettato il prototipo del periscopio utilizzato sulle imbarcazioni, ma non ottenne il brevetto attribuito ad altri inventori. Classe 1861, figlio di un capitano di marina. Lui stesso fu imbarcato per circa 10 anni su navi mercantili per questo conosceva il mare, i suoi pericoli e insidie…
Inoltre a quel tempo il trasporto marittimo era importante e fondamentale quasi quanto quello aereo dei nostri giorni.
Quanto all’ipotesi che una nave potesse naufragare per collisione causa blocchi di ghiaccio, non era una fantasia letteraria ma una realtà e anzi l’evento più temuto sulla rotta del nord Atlantico.
1° Edizione di Futility
Senza contare poi che circa 6 anni prima la pubblicazione del libro, si vociferava circa la costruzione di una imbarcazione in grado di battere ogni record in velocità e dimensione ma soprattutto definita inaffondabile grazie al suo scafo diviso in 16 compartimenti stagni, quindi progettata per stare a galla anche se alcuni compartimenti avessero imbarcato acqua. Alla luce di queste considerazioni possiamo ancora definire Morgan Robertson un veggente? Oppure semplicemente la sua intenzione era quella di lanciare un monito, un pericolo preannunciato da non sottovalutare?
Anche il primo titolo dell’opera mi sembra molto eloquente: “Futility”, Futilità! Difficile a dirsi e non lo sapremo mai anche se lui stesso si definisce un sensitivo, uno che ha tratto le sue ispirazioni e idee dal “suo compagno di scrittura astrale”.
Beyond the Spectrum
A sostegno di questa sua particolarità ci viene in soccorso un altro racconto, scritto nel 1914, un anno prima della sua morte, dal titolo “Beyond the Spectrum”, tradotto in “Oltre lo spettro”. In questa opera, lo scrittore racconta di una guerra tra Stati Uniti e il Giappone in seguito ad un attacco a sorpresa dei giapponesi, con armi dai bagliori accecanti, ad una spedizione navale.
Ancora una volta Robertson preannuncia 27 anni prima quello che accadrà a Pearl Harbor (nella realtà una base militare), e che determinerà l’ingresso degli Stati Uniti d’America nella seconda Guerra Mondiale.
“…..Maestro, quanti sogni avventurosi, sognammo sulle trame dei tuoi libri: la terra, il mare, il cielo e l’universo. Per te, con te poeta dei prodigi, varcammo in sogno oltre la scienza….” (in Morte di J.Verne 1905).
DEDICA DI GUIDO GOZZANO a Jules Verne
In effetti i romanzi di questo scrittore ci portano a vivere avventure ambientate nell’aria, nello spazio, nel sottosuolo e nei fondali marini.
Egli coniuga abilmente uno stile narrativo scorrevole, pieno di ottimismo con la verosimiglianza basandosi però sui progressi scientifici e tecnologici del suo tempo di cui è un grande ricercatore e divulgatore.
Da questo meraviglioso mix, si lascia suggestionare dando vita alla sue storie che lo sanciscono come uno dei padri della fantascienza moderna.
Anticipò realizzazioni e applicazioni tecnologiche ma in quanto attento ricercatore venne anche ispirato.
E’ nel ciclo dei romanzi definiti “scientifici” , esattamente nel secondo volume della trilogia composta da “I figli del Capitano”e “L’isola misteriosa”, che in “Ventimila leghe sotto i mari” troviamo descritto dal Capitano Nemo, il Nautilus.
Ad ispirare Verne, fu l’opera del primo sommergibile funzionante al mondo ideato dall’ingegnere statunitense Robert Fulton realizzata nel 1800 per Napoleone ma la produzione non venne sovvenzionata né dallo Stato francese e neppure da quello inglese in quanto giudicato “un’arma terribile, un ordigno moralmente inaccettabile”.
Ecco alcuni disegni di Robert Fulton:
Disegni di Robert Fulton
Realizzazione:
“Ventimila leghe sotto i mari” venne pubblicato la prima volta nel 1870. Il motto del Nautilus di Verne è “Mobilis in Mobili” ovvero “Mobile in elemento mobile” così viene descritto:
“E’ un cilindro molto allungato a punte coniche. Si avvicina sensibilmente alla forma di un sigaro, forma già adottata a Londra per molte costruzioni marine. La lunghezza di questo cilindro, da un capo all’altro, è esattamente di settanta metri e la sua larghezza massima è di otto metri. Non è, perciò, costruito con le stesse proporzioni dei vostri vapori, ma le sue linee sono sufficientemente allungate e la sua carena è molto affusolata, affinché l’acqua spostata scivoli facilmente e non opponga alcuna resistenza alla sua marcia. Le due misure che vi ho dato vi permetteranno facilmente di ottenere, con un semplice calcolo, la superficie e il volume del Nautilus.” La sua area misura 1.011,45 metri quadrati e contiene 1.500,2 metri cubi. Una volta immerso completamente sposta 1500.2 metri cubi d’acqua, o 1500.2 tonnellate metriche. L’imbarcazione è in grado di viaggiare fino alla velocità di 50 nodi (92,60 km/h). Normalmente esso si immerge lasciando scoperta la sua parte superiore per un decimo ma, se i serbatoi sono pieni d’acqua, può immergersi per intero, scomparendo totalmente alla vista e fondendosi col mare ed è anfibia e spinto da “puliti” motori elettrici alimentati da batterie di sodio-mercurio e sfiora la velocità di 50 nodi ed inoltre in grado anche di operare un’efficace difesa dalle enormi creature che abitano i mari.”
Disegno di Jules Verne
In un clima di guerra fredda fra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica e di rincorsa spasmodica al primato nell’ambito di sviluppo tecnologico fra queste due superpotenze, nel gennaio del 1954 venne varato dagli Americani il primo sommergibile a propulsione nucleare della storia di tutte le marine militari: lo USS –Nautilus (SSN -571).
USS –Nautilus (SSN -571)
Fu in grado di aggiudicarsi un gran numero di record, primo fra tutti la navigazione in immersione di tutto il Polo Nord, avvenuta nel 1958 dallo stretto di Bering fino alla Groenlandia Orientale.
Queste le dimensioni: lunghezza 97,5 metri – larghezza 8,5 metri; un dislocamento che oscilla fra le 2980 tonnellate in emersione fino a 3520 in immersione. Grazie al reattore nucleare era in grado di raggiungere la velocità di 43 km/h ovvero circa 23 nodi.
Il progetto fu pianificato e supervisionato dall’ammiraglio Rickover noto come il “Padre della marina nucleare”:
Ammiraglio Rickover
Dopo una gloriosa carriera, nel marzo del 1980 il Nautilus fu radiato dal servizio attivo. Oggi è una nave museo nel porto dove tutto ebbe inizio, a Groton presso il Submarine Force Museum.
Ogni persona prova il bisogno di esprimere i propri sentimenti, ora di gioia, ora di dolore, e uno dei mezzi più efficaci è senza dubbio la musica, che sia suonata o cantata. Il canto è a tutti gli effetti il mezzo di espressione più totalizzante di cui l’uomo dispone. Imparare a cantare non significa soltanto far vibrare le proprie corde vocali per riprodurre note intonate, ma accordare la propria mente e il proprio stato d’animo sul contenuto della melodia cantata. Un bravo cantante dovrebbe essere in grado di vestire alla perfezione l’idea e il sentimento che il compositore ha impresso nella composizione. In un certo senso dovrebbe far sua questa idea, viverla dandole un corpo e trasmetterla a chi ascolta. Così è dei bravi musicisti.
Ovviamente si può cantare anche solo per divertimento, per bisogno o per stare meglio, ma si capisce che uno studio approfondito del canto rende consapevoli dell’apparato fonatorio (diaframma, polmoni, laringe, cavità di risonanza, ecc.), e permette una ricerca attiva sulle dinamiche psichiche, mentali e sulle capacità latenti dell’uomoe della donna intesi in senso globale. Il fatto che il canto, nello specifico il canto melurgico, sia in grado di far conoscere sé stessi ed utilizzare la propria voce in modo armonioso e armonico, rende questa arte un potente mezzo di formazione dell’individuo, inteso in senso completo, cioè corporeo e spirituale. Melurgia, dal greco melos melodia o canto ed ergon opera, significa “azione della melodia” o “azione del canto” e sta proprio ad indicare l’azione che una melodia sacra, cantata in particolar modo, ha sull’uomo.
Lo studio del mistero della voce può condurre alla conoscenza profonda della natura umana e della sua relazione con il cosmo. Sin dall’antichità il canto sacro è stato uno dei mezzi principali per l’educazione morale e spirituale dell’uomo. In tutte le tradizioni si ritrova l’utilizzo della musica e del canto, associato alla poesia, per cantare lodi alla divinità. Basti pensare allo sviluppo della musica all’epoca del re Davide in Israele (1 Cronache 23:5; 25:1, 6, 7), oppure all’utilizzo degli strumenti e del coro da parte dei greci, dei quali Pitagora fu uno dei fondatori. Anche nel cristianesimo dei primi tempi è noto il dono del canto tra gli Apostoli e Discepoli(Atti 16:23,24) e non minore importanza assume la musica come arte liberale nel medioevo.
L’anima dell’uomo era concepita come una melodia da intonare e armonizzare conla melodia dell’universo, riflesso di una musica o armonia divina. È a questa “accordatura” dell’anima che il canto inteso nel senso melurgico-sacrale, cioè ascetico nel più elevato dei significati, può portare.
Lamusica è sempre stata un’importante forma di espressione umana. Con essa è possibile comunicare le nostre emozioni, i nostri pensieri e le nostre idee in maniera originale, unica e, in alcuni casi, davvero potente. Tuttavia, lamusica può essere vista anche come una forma di espressione del momento storico in cui essa viene creata.
Ogni epoca storica, infatti, ha la sua musica caratteristica che riflette le influenze culturali, sociali e politiche del tempo. La musica barocca (vedi Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Arcangelo Corelli), contrassegnata da una grande complessità e ornamentalità, riflette bene il gusto per la grandiosità dell’epoca. Anche la musica punk, che fa boom negli anni ‘80, viene usata dagli artisti dell’epoca come mezzo per raffigurare la disoccupazione, la discriminazione e l’alienazione sociale, quali temi caratterizzanti la società del tempo.
Tra gli artisti ve ne sono alcuni particolarmente sensibili che hanno—o sviluppato o per natura—una spiccata ricettività verso ciò che è presente oltre la materia che noi conosciamo volgarmente. Questi individui speciali non si limitano a “parlare” del momento storico in cui vivono, bensì anticipano ciò che sarà la musica del futuro.
È il caso della Dodecafonia, una tecnica musicale elaborata da Arnold Schonberg nel 1923, ma già anticipata da Wolfgang Amadeus Mozart ben 136 anni prima, nel 1787. Essa riflette il desiderio di cambiamento letterario, artistico, politico e sociale di un mondo che sta attraversando un periodo di grandi trasformazioni, dovute anche alle guerre e alle grandi scoperte tecnologiche.
Si tratta di una composizione basata su una serie di dodici suoni che non si ripetono finché non si sia esaurita tutta quanta la serie. Con questa tecnica, non vi sono più suoni più o meno importanti: tutti hanno la stessa importanza. La successione di suoni, mancante di una melodia orecchiabile, risulta in questo modo dissonante, provocando nell’ascoltatore una sensazione di tensione crescente. Mozart la concepisce e la adotta, tra le altre, in una delle sue opere più famose, Don Giovanni.
Urge fare una brevissima sintesi. Don Giovanni, un giovane cavaliere, seduce Donna Anna, nobildonna. Il Commendatore, padre di Anna, sfida a duello Don Giovanni, il quale però lo uccide. Più tardi, nella penultima scena dell’opera, il Commendatore, sotto forma di statua fantasma, si presenta a Don Giovanni invitandolo a cena da lui. Don Giovanni accetta e stringe la mano alla statua. A quel punto avverte un gelo mortale, e il Commendatore lo esorta a pentirsi dei suoi peccati, ma Don Giovanni rifiuta e cerca invano di sfuggire al suo inevitabile destino: la morte.
L’apparizione qui del Commendatore ha valore simbolico. Egli infatti rappresenta un messaggero della volontà divina, della giustizia che attende i peccatori. Utilizzando una tecnica compositiva nuova, Mozart riesce a dare forma al trascendente, distinguendolo così da ciò che invece è di natura terrena. L’effetto è di grande efficacia: la successione dei suoni dissonanti quasi dà vita al terrore, all’angoscia, alla paura che il peccatore va a sperimentare di fronte alla morte.
Don Giovanni e la statua del Commendatore, Alexandre-Évariste Fragonard
Grazie alla sua particolare sensibilità artistica, Mozart riceve un’ispirazione e anticipa così una tecnica completamente nuova che verrà messa in pratica soltanto a partire da Schonberg nel 1923, quando nuovi modi musicali per esprimersi vengono impiegati dai compositori in cerca della libertà dalla tradizionale tonalità e armonia.
Ma oltre ad anticipare il futuro, è possibile che la musica possa contenere notizie su ciò che deve ancora avvenire? Può la musica, attraverso il sapiente utilizzo del suo linguaggio, portare in sé una profezia?
Il Mago, associabile alla carta dei tarocchi dell’Eremita – The Magician, which can be associated with the Hermit tarot card
Parlare di magia oggi può sembrare fuori luogo.
Noi appena sentiamo questa parola pensiamo al prestigiatore, al mago che si esibisce con trucchi ed effetti speciali. Oppure pensiamo ai personaggi fantasiosi dei film, molto eccentrici e bizzarri. Magia con la bacchetta magica delle fiabe insomma.
Magia nel senso antico del termine no, non ci viene in mente subito, anzi sembra una cosa molto lontana dalla società moderna, da questa civiltà delle macchine e della tecnologia, dove tutto è pratico, immediato, visibile, tangibile. Una società dove molti si definiscono “atei” e sono scettici verso tutto quello che si trova al di là del proprio naso.
Magia come antica sapienza, come sviluppo di facoltà che ogni essere umano possiede più o meno latenti, no, non ci viene in mente.
In realtà la magia è un argomento attuale e vivo in ogni tempo e in ogni luogo. Si può dire sia per noi connaturata.
Dal segno scaramantico più insignificante ai rituali delle grandi religioni, la magia sopravvive ed entra a far parte della vita di ciascuno. Come se con un gesto o uno strano potere, si potesse cambiare il corso degli eventi. Ma è davvero possibile?
Viviamo in un mondo fatto di scambi, di relazioni, di sintonie. Scambi energetici, vitali, sia con l’ambiente che ci circonda, con la natura, sia con le persone che compongono la nostra cerchia di relazioni umane.
Siamo legati con il nostro corpo fisico alla terra, alle sue radiazioni e alla sua atmosfera, per cui è necessario imparare a liberarsi dai condizionamenti armonizzandosi con l’ambiente; il nostro corpo eterico è in relazione con il corpo eterico della terra e del Cosmo, e ne subiamo l’influenza, per cui ci dobbiamo armonizzare anche con questa, magari utilizzandola; lo stesso vale per il corpo energetico astrale e quello mentale, che hanno relazioni e legami con quelli della terra e del Cosmo.
Uno degli scopi della magia sacra è portare un equilibrio con tutte queste forze in modo da aprirsi un varco verso le Sfere Celesti.
Costituzione invisibile dell’uomo e della donna – Invisible constitution of man and woman
L’arte magica conosce l’uso sapiente dei colori, dei profumi, delle note musicali, dei simboli, e delle correnti magnetiche o vitali del nostro corpo, tutto per ottenere la trasformazione dell’anima umana in un essere angelico immortale.
Nella filosofia cinese racchiusa ne I KING, il Libro dei Mutamenti, uno dei più importanti testi di riferimento per la divinazione, tutto quello che avviene nel visibile è l’estrinsecazione di un’immagine, di un’idea presente nell’invisibile. I germi di tutto sono nei mondi superiori, invisibili, spirituali. Qui sulla terra si materializzano per così dire nel tempo. Se riesco a prevedere in anticipo, posso in certo qual modo agire per avere un destino migliore. La capacità di intuire, di scoprire questi germi spirituali è appannaggio di persone saggie o sante, abituate ad essere in contatto con queste dimensioni superiori. È tramite loro che si crea una sorta di circuito fra il cielo o mondo soprasensibile delle idee,la terra o mondo corporeo della visibilità, e l’uomo.