Oggi è in corso un dibattito specialistico all’interno della comunità geologica internazionale sull’opportunità di introdurre una nuova epoca geologica e se debba essere denominata «Antropocene».
L’ufficialità manca ancora. Il concetto di Antropocene è stato reso celebre nel 2000 da un articolo firmato dal biologo Eugene Stoermer (che aveva già usato questo termine nel corso degli anni ’80) e dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen1. Quest’ultimo ha ulteriormente approfondito il concetto due anni dopo, in un articolo comparso sulla rivista «Nature» dal titolo Geology of mankind–The Anthropocene. Il titolo del saggio, tradotto con Geologia dell’umanità – l’Antropocene, esprime efficacemente l’idea di fondo dell’autore: negli ultimi secoli, gli uomini sono diventati il principale agente geologico in grado di rimodellare la Terra, modificandone i sistemi fondamentali ed esercitando un enorme impatto su tutto l’ecosistema terrestre.
L’evoluzione della Terra solida, dell’atmosfera, dell’idrosfera e della biosfera, si possono ricostruire attraverso lo studio della stratigrafia delle rocce, del loro contenuto fossilifero e delle loro caratteristiche geochimiche.
Le rocce, infatti, sono un grande archivio pietrificato che ci mette nella condizione di viaggiare attraverso il tempo geologico.
Dal punto di vista tecnico, per definire un’era geologica, è necessario che esista un segno chiaro a livello stratigrafico che ne identifichi l’inizio; nel caso specifico dell’Antropocene, questo segno dovrebbe essere chiaramente riconducibile alla presenza e all’attività dell’uomo.
Da anni geologi, esperti in stratigrafia, scienziati e climatologi discutono su quale sia la data di inizio dell’Antropocene e, di conseguenza, di fine dell’Olocene, cioè l’epoca geologica attuale, il cui inizio è stato convenzionalmente fissato a circa 11.000 anni fa.
La proposta attualmente più condivisa è quella di datare l’inizio dell’Antropocene a metà del XX secolo contestualmente alle esplosioni nucleari iniziate con i test del 1945.
Alle 5.29 del 16 luglio del 1945, nel Nuovo Messico (USA), nel bel mezzo del deserto di Jornada del Muerto, venne fatta esplodere la prima bomba al plutonio il cui nome in codice era The Gadget.
Fu il primo test nucleare della storia. Da quella detonazione ad oggi sono stati fatti esplodere, ufficialmente, 2421 ordigni nucleari che hanno liberato una serie di isotopi non esistenti in natura. Tali isotopi, principalmente carbonio-14 e plutonio-239, insieme ad acciaio, calcestruzzo, plastica ed altri derivati delle attività umane, faranno parte delle stratigrafie future del pianeta che, per la prima volta nella sua storia, avrà una geologia sintetica.
Il primo ad osservare come l’uomo potesse non solo modificare la geografia fisica, ma mettere a repentaglio la propria stessa sopravvivenza sul pianeta fu, probabilmente, George Perkins Marsh, politico ed ambasciatore statunitense dell’800, considerato da molti un precursore dell’ecologia.
I suoi scritti contengono interessanti e moderni spunti sui problemi dell’ambiente e dell’uso delle risorse, tanto che oggi la sua opera sta riscuotendo un nuovo e vivo interesse. Pur non essendo geografo di professione, pubblicò un’opera geografica di grandissimo interesse, scritta in gran parte in Italia, dove si stabilì dal 1861 fino alla morte, dal titolo L’uomo e la natura ossia la superficie terrestre modificata per opera dell’uomo (1864), in cui evidenziava la necessità della conservazione della natura e l’importanza del «ristabilimento delle armonie perturbate».
Ma, al di là dell’impatto su rocce e sedimenti terrestri, sussiste una riflessione più ampia riguardante le relazioni dell’essere umano con il suo ambiente.
Le radici storiche del concetto di Antropocene risalgono ad Antonio Stoppani, geologo e sacerdote nato a Lecco nel 1824, che definì l’umanità come una «nuova forza tellurica che in potenza ed universalità può essere paragonata alle maggiori forze della terra» e, quindi, comparabile alle altre forze geologiche. Stoppani propose, già nel 1873, all’interno della sua opera in tre volumi Corso di Geologia, il concetto di «epoca antropozoica» precorrendo il vocabolo Antropocene di uso attuale.
L’attività scientifica dello Stoppani non si limitò solo all’ambito accademico, egli infatti profuse sempre il massimo impegno anche nella divulgazione. Da molti è ritenuto il primo divulgatore scientifico italiano. Ci basti ricordare la sua principale opera dedicata all’educazione scientifica, in particolare, dei giovani: Il Bel Paese – Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia. Tutte le conversazioni de Il Bel Paese sono intervallate da riflessioni come la seguente: «Ma la scienza non si contenta di dire: “Dio ha fatto, ha voluto così”; vuole anche sapere come ha fatto, ed anche, se può, perché ha voluto così. E Dio non vieta questa nobile curiosità che è tutta consentanea a quel lume di ragione che Dio stesso ha dato all’uomo, perché fosse l’immagine sua. Anzi Dio gli ha forniti i mezzi perché possa soddisfarla; né la scienza consiste in altro che in una più perfetta cognizione del Creatore e delle sue opere. Scienza e virtù quasi divinizzano l’uomo: ignoranza e vizio l’abbrutiscono».Il dibattito riguardo l’influenza dell’uomo sul pianeta, riscosse un certo interesse anche nella Russia di inizio Novecento, dove si respirava un clima predisposto a discutere l’idea degli esseri umani come protagonisti, nel bene e nel male, di un’evoluzione attiva dipendente dalle loro decisioni. Pioniere di questa riflessione fu il grande geologo russo Vladimir Ivanovič Vernadskij nato a Pietroburgo nel 1863 che divenne celebre in seguito alla pubblicazione, nel 1926, del libro La Biosfera in cui rese popolare il termine biosfera precedentemente concepito dal geologo austriaco Eduard Suess nel 1885.
Oggi per biosfera si intende quella parte della Terra nella quale si riscontrano le condizioni indispensabili alla vita animale e vegetale. Comprende la parte bassa dell’atmosfera, tutta l’idrosfera e la parte superficiale della litosfera, fino a 2 km di profondità. Insieme alle forme di vita che ospita, costituisce un sistema complesso, in equilibrio dinamico con le altre componenti della Terra e definito anche “ecosistema globale”.
Nella prefazione alla sua opera del 1926, Vernadskij osservò che in tutta la letteratura geologica precedente mancava un saggio organico sulla biosfera, anzi, la sua stessa esistenza non veniva presa in considerazione. Egli, invece, la definì come un involucro particolare, impregnato di vita e posto a frontiera con l’ambiente cosmico da cui trae l’energia delle radiazioni solari che, fin dall’eternità, rovesciano un potente flusso di forze in grado di modificare profondamente il volto della Terra. La funzione fondamentale della materia vivente consiste, secondo Vernadskij, nel trasformare l’energia irradiata dal sole (radiazione elettromagnetica) in energia fisica e chimica che poi passa da un organismo all’altro grazie ai cicli vitali.
Vernadskij, infatti, va ricordato, soprattutto, per aver elaborato in forma compiuta la grande visione unitaria della vita sul pianeta. Una vita che si basa sulla circolazione degli elementi dall’atmosfera alle piante, agli animali, al suolo, e poi di nuovo all’atmosfera e alle acque; di questi cicli vitali fanno parte anche gli esseri umani.
Era il 1923 quando venne invitato alla Sorbona di Parigi dove tenne una conferenza sull’evoluzione dell’inviluppo geologico della sfera terrestre; considerando la vita come un fenomeno anche geologico, il mineralogista russo divenne il fondatore di una nuova disciplina, la biogeochimica, che si proponeva di studiare la vita con un approccio interdisciplinare basato su biologia, geologia e chimica.
Nella Parigi degli anni Venti la sua riflessione si arricchì di ulteriori declinazioni grazie ai contatti con altri scienziati dell’epoca, tra cui il geologo e padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, il filosofo Henri Bergson, docente di Filosofia Moderna al Collège de France ed il suo allievo Edouard Le Roy. Proprio quest’ultimo, nella sua opera L’Exigence idéaliste et le fait de l’évolution (1927), utilizzò per la prima volta per iscritto il neologismo noosfera definendola: «sfera della riflessione, dell’invenzione consapevole e libera, del pensiero propriamente detto, in breve, la sfera dello spirito».
Anche Vernadskij, nelle sue ultime opere, teorizzò la distinzione del pianeta in tre sfere, rappresentate rispettivamente dalla geosfera (sfera abiotica), dalla biosfera (sfera dei viventi) e dalla noosfera (sfera dei processi cognitivi umani). Con l’avvento della noosfera, alla mente dell’uomo si aprirebbero orizzonti tali da metterlo nelle condizioni di affrontare i più ardui problemi di trasformazione della natura e di conquista del cosmo, grazie allo sviluppo della scienza e della tecnologia. Vernadskij considerò l’apparizione degli strumenti tecnologici, inventati e usati dall’uomo, equivalente alla comparsa di nuovi organi e perciò sulla linea delle trasformazioni biologiche che avvengono per effetto della naturale evoluzione della specie.
«Con l’umanità è comparsa indubbiamente una nuova ed enorme forza geochimica sulla superficie del nostro pianeta. L’equilibrio nella migrazione degli elementi, che si era stabilito in lunghi tempi geologici, è infranto dall’intelletto e dall’attività degli uomini. Adesso, con tale indirizzo, ci troviamo in un periodo di mutamento delle condizioni di equilibrio termodinamico all’interno della biosfera».
V.I. Vernadskij, La géochimie, Parigi 1924
Il profilo dell’essere umano che sembra emergere dalle riflessioni di questi pensatori di inizio ‘900 è quello di un moderno artefice del proprio destino capace di costruirsi non solo la propria sorte, ma anche il proprio “paradiso in terra” grazie ad un’alleanza sempre più stretta con la tecnologia.
Difficile non intravedere in questo “humus” le radici del moderno transumanesimo (o transumanismo), un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post-umana2.
Ma cosa si intende oggi per postumanesimo e transumanesimo? Questi neologismi indicano, rispettivamente, il risultato auspicato ed il percorso di transizione necessario al suo conseguimento. In altri termini, il transumano è l’uomo in transito verso la condizione postumana che sarebbe, per l’appunto, l’esito dell’evoluzione della specie resa possibile dall’alleanza tra una conoscenza scientifica sempre più capace di penetrare i misteri della natura ed un’abilità tecnico-manipolativa sempre più sofisticata.
Il postumano è quindi il risultato finale di un processo di auto-trasformazione che porterà l’umanità a prendere congedo da tutti quegli aspetti di vulnerabilità e di finitudine che oggi ci sono così familiari. Un’umanità infinitamente più intelligente, più longeva, più ricca, dotata di capacità sensoriali estese e di una fisicità potenziata. Spesso, per riferirsi a tale rivoluzione tecnologica, si parla di GNR revolution, ovvero dell’incontro tra Genetica, Nanotecnologia e Robotica. Un’umanità irriconoscibile e oggi inimmaginabile; per questo espressione di una condizione che sta oltre l’umano.
Alla luce del pensiero transumanista l’umanità di oggi sta progredendo verso un dominio sempre maggiore del mondo: il pensiero, la scienza e la tecnica la guidano a questa conquista della Natura. Ma può, un dominio della Natura in ottica tecnocratica essere lo scopo delle nostre esistenze? A guardarla bene sembra una corsa senza fine, senza altra meta che non sia quella di spostare la frontiera della morte un po’ più in là, anche a costo di perdere tutto ciò che intimamente caratterizza il nostro essere umani. Ma allora quale potrebbe essere la vera evoluzione?
Forse l’autentica sfida con sé stessi, quella dell’umanità di ieri, di oggi e di domani, non consiste tanto nel chiedersi come andare oltre i propri limiti, realizzando il sogno di “umanità iper-umana”, ma piuttosto come far rifiorire quel “germe” che, pur celandosi, rende davvero umane le nostre esistenze.
Il Sommo Poeta nel I canto del Paradiso allude ad un genere di cambiamento diverso dall’ideale transumanista, sebbene utilizzi un termine analogo.«Trasumanar significar per verba non si poria» dice Dante nel Paradiso (I, 70-71).
In questa terzina il Poeta ammette che non si può descrivere con parole l’anelito ad oltrepassare la condizione umana per realizzare il desiderio di essere tutt’uno con la realtà divina. Sappiamo che l’intera Commedia è la descrizione di una trasmutazione interiore che consentirà a Dante, con l’aiuto imprescindibile di Beatrice, la donna angelicata, di realizzare il supremo compimento. Transumanar vuol dire dunque, per Dante, riportare la natura umana alla sua fonte creatrice depurandola di ciò che in essa è caduco e provvisorio.
Per il transumanesimo, invece, l’umanità, in totale autonomia, si assume il compito di guidare il suo stesso processo evolutivo, non attraverso una progressiva presa di coscienza degli «stati molteplici dell’essere»3, bensì esclusivamente attraverso l’avanzamento tecnologico.
Luca Grion, professore associato di filosofia morale presso l’Università degli Studi di Udine, cerca di rispondere agli interrogativi sul moderno stradominio della tecnologia da molti definito tecnocrazia:
«l’uso distorto della tecnica […] consiste nell’incapacità di accettarsi per ciò che si è, nel non riconoscere nei propri limiti costitutivi il confine del proprio essere, aspirando a divenire ciò che non si è destinati ad essere. […] la tecnologia, se saggiamente maneggiata, può essere un prezioso collante, che favorisce la tenuta delle relazioni significative; laddove, invece, la tecnica viene assolutizzata, essa diviene un pericoloso solvente, capace di indebolire la forza delle relazioni significative e di chiudere l’individuo in uno pericoloso narcisismo».
Restando nell’ambito di questo “sogno”, apparentemente positivo, dell’homo faber, che si costruisce da sé il proprio destino, può essere interessante tornare nella Russia di inizio ‘900, alle riflessioni di Pavel Aleksandrovič Florenskij, nato nell’odierno Azerbaigian nel 1882.
Secondo lo scienziato e sacerdote ortodosso, quando l’essere umano inizia a percepire i propri rapporti con il mondo come qualcosa di casuale e non come un dono, ecco che mette radici e si sviluppa una vera e propria “civiltà predatoria”. In nome del desiderio di autonomia e di supremazia l’individuo è spinto ad estromettere il Divino dal Mondo fino a sostenere che non c’è più posto per Dio.
Pur restando viva l’idea di un’evoluzione attiva e consapevole dell’umanità, tesa al raggiungimento della pienezza del suo essere, perché ciò si realizzi secondo Florenskij è necessario restaurare una concezione cristiana del mondo: «solo nel cristianesimo il creato acquistò il suo valore religioso, solo con il cristianesimo è stato individuato il posto che spetta al “senso della natura”, all’amore per l’uomo e alla scienza naturale che ne deriva»4
Secondo questo genio enciclopedico del XX secolo, il primo passo consiste, anzitutto, nel recuperare uno sguardo capace di cogliere l’universale nel particolare. Ciò accade quando si è animati da quello spirito d’infanzia caratteristico di chi contempla senza brama di possesso. La visione del mondo scientifico-tecnologica, infatti, sembra rivolgersi allo spazio e alla materia con frenesia, per possederli o dominarli, senza soffermarsi a cogliere l’infinita trama dei significati.
Ogni atteggiamento scientifico verso la realtà dovrebbe originare dalla percezione del mistero della natura e dall’interrogazione che questo suscita interiormente. Di questo Florenskij resta fermamente convinto fino agli ultimi anni di vita, quando scrive alla moglie dal lager delle Solovki: «Colgo l’occasione per dire a te e ai bambini che tutte le idee scientifiche che mi stanno a cuore, scaturiscono dal mio sentimento per il mistero […]. Tutto ciò che mi viene suggerito da questo, rimane vivo nel mio pensiero e diventa, prima o poi, oggetto di uno sforzo scientifico»5.
In un’altra lettera dal lager, scritta al figlio Kirill il 21 febbraio del 1937, abbozzando un bilancio della sua esistenza, ormai prossima alla tragica fine, afferma: «Volevo scriverti dei miei lavori, o più precisamente, del loro senso, della loro sostanza interiore, affinché tu potessi continuare a portare avanti quel pensiero che a me la sorte non permette più di elaborare e di condurre al suo fine […].
Che cosa ho fatto per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà compatta, ma ad ogni tappa della mia vita da un determinato punto di vista […].
Le sue angolature mutano, l’una arricchendo l’altra; è qui la ragione della continua dialettica del pensiero assieme al costante orientamento di guardare il mondo come un unico insieme»6.
All’unità interiore e misteriosa che costituisce il mondo, Florenskij dà un nome: Sofia, la Sapienza di Dio, un’immagine tratta dalle Sacre Scritture e riproposta nella cultura russa da Vladimir Solov’ëv, uno dei pensatori che lo avevano maggiormente segnato. Difficilmente definibile, la Sofia è il mistero che dà unità al mondo e unisce il mondo divino e quello umano. Se la finitezza dell’uomo trova compimento soltanto nell’infinito di Dio, dev’esserci qualcosa che unisce il mondo divino e quello umano; e, allo stesso modo, ci deve essere qualcosa che unisce tutto il creato.
Tommaso Palamidessi, studioso del ‘900 nato a Pisa nel 1916 e fondatore della scuola Archeosofica nel 1968, è stato uno dei più grandi pionieri del secolo scorso. Egli ha condotto ricerche in tutti i settori della scienza e della metafisica, elaborando un paradigma dell’individuo e dell’universo che non tralascia nulla, anzi, concilia le intuizioni degli antichi con le evidenze della scienza moderna.
Nella sua opera intitolata Le Basi della Teologia Sofianica, pubblicata postuma nel 1986, a proposito della Sofia scrive trattarsi di un «archetipo dell’anima del mondo» nel senso di modello primo a cui l’anima del mondo, per ora, ancora non è somigliante.
Il concetto di Anima Mundi, nel senso inteso dall’Archeosofia, fu un’intuizione del teosofo Rosa-Croce Gerolamo Cardano (1501-1576), lasciata nella sua opera Theoston seu de animi immortalitate (in Opera, II, Lione, 1663, p. 439). Il Cardano sostenne il panpsichismo dell’Universo e distinse tre principii: lo spazio, la materia e l’anima del mondo. Per il filosofo lombardo, l’Anima del Mondo è nella natura la stessa cosa che è l’anima particolare dell’uomo, cioè intelligenza; potenzialmente le anime particolari sono contenute nell’anima universale, come i numeri nella decade, e analogamente tutte le cose sono vivificate, sorrette, organizzate dal principio psichico universale7.
«La Sofia è l’archetipo al quale deve aderire, nel tempo, l’attuale “Anima del Mondo”, anarchica e caotica in via di evoluzione, che ospita le anime di tutti i viventi incarnati e disincarnati alla ricerca di Dio.
In altri termini la Sofìa è l’anima ideale del mondo, creata e compenetrata dalla divinità, in attesa che l’altra anima del mondo, quella decaduta in conseguenza all’errore e involuzione adamica, si innalzi alla suprema perfezione e si identifichi in certo qual modo con Lei. Voglio dire che l’Anima del Mondo, oggi, non è combaciante, come due triangoli uguali ma distinti, con l’archetipo sofianico che, secondo le Scritture, è la massima espressione della Sapienza di Dio fatta creatura metafisica; ma lo sarà quando avrà raggiunto la perfezione assoluta in Cristo e quindi in Sofìa8».
«Durante la sua vita, l’uomo è un trasformatore di energia: non fa che assorbire l’energia universale per trasformarla in bene o in male; e, come con un atto fisiologico (respirare, bere) sottrae all’universo una forza che modifica l’equilibrio di tutte le altre forze del nostro cosmo fisico, così ogni suo pensiero e sentimento muta la sua relazione rispetto all’universo, e la relazione dell’universo rispetto a sé. Questa forza, appartiene o al mondo fisico del movimento, o a quello psichico, o a quello spirituale. Noi adoperiamo questi tre tipi di forza, rispettivamente, nelle attività organiche e fisiologiche, nelle sensazioni del nostro sistema emozionale, e nei pensieri astratti o concreti del nostro sistema mentale. Ora, tutta la forza che adoperiamo, la forza di tutti i piani, è l’energia dell’Assoluto. Noi siamo i trasformatori di questa energia. Il desiderio di Dio è che, trasformando ed usando questa energia, noi l’adoperiamo non per ostacolare, ma per promuovere il Suo piano di Evoluzione. Aiutare questo piano significa fare il “bene”, come ostacolarlo significa fare il “male”. Inoltre, non essendo l’uomo un individuo isolato, ma un’unità in una umanità composta di miliardi di elementi, ogni suo pensiero, sentimento o atto reagisce su tutti i suoi simili, naturalmente, in proporzione alla vicinanza di ognuno a lui, quale distributore di forza negativa o positiva, buona o cattiva. Ciascuno di noi, entrando in questa vita, viene da un lungo passato che conta molte vite, e assumendo di nuovo un altro compito sulla terra, reca con sé il fardello di ciò che fece di buono o di cattivo. La sua nascita sarà realizzabile sotto una sintesi di influenze siderali in grado di creargli l’ambiente e la costituzione fisica proporzionali al destino da scontare. Però, malgrado tutte le forze della natura lo costringano a realizzare a proprie spese l’equilibrio, egli possiede lo Spirito Divino che vive in lui, e basta uno sforzo che possa cooperare con la volontà Divina nell’evoluzione, non ostacolandola e guadagnandosi così un destino migliore. La Grande Legge che regola il creato adopera la forza accumulata dall’individuo stesso, e nulla può aggiungervi o togliervi. L’individuo proviene da un passato, ha legami di destino con altri individui, con una famiglia, un popolo; deve essere mandato ad incarnarsi dove gli sarà possibile scontare tutto il suo svariato carico, dovrà nascere sotto un cielo stellato le cui influenze siderali saranno conformi alla pena da espiare. Tuttavia, la sua incarnazione è solo una vita della grande serie di vite, e al termine di questa lunga, difficile e dolorosa strada, egli sarà un Maestro di Sapienza, un Archetipo9».
1.P. Crutzen-E. Stoermer, The “Anthropocene”, «International Geosphere-Biosphere Programme» («IGBP») Newsletter, 2000
2.Wikipedia, L’enciclopedia libera
3.René Guénon, Gli stati molteplici dell’essere, Milano, Adelphi, 1996
4.Pavel Aleksandrovič Florenskij, La Colonna e il fondamento della verità, 1914
5.Pavel Aleksandrovič Florenskij, Non dimenticatemi, Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2000
6.Pavel Aleksandrovič Florenskij, Non dimenticatemi, Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2000
7.Tommaso Palamidessi, Le Basi della Teologia Sofianica, 1986, Archeosofica
8.Tommaso Palamidessi, Le Basi della Teologia Sofianica, 1986, Archeosofica
9.Tommaso Palamidessi, Spazio-Tempo-Energia, Bastrogi Libri, Alessandro Benassai, pag.293-294, Archeosofica